Eugène Burnand, I discepoli Pietro e Giovanni accorrono al sepolcro il mattino della Resurrezione, 1898, olio su tela, Museo d'Orsay, Parigi


Il pittore svizzero Burnand (1850-1921) descrive con maestria naturalistica la testimonianza del Vangelo di Giovanni sulla resurrezione di Cristo. Non c’è idealizzazione, la narrazione procede come un racconto storico, indagato attraverso l’esatta resa della luce che ci proietta in un momento concreto della giornata: l’alba. E proprio verso l’alba corrono Pietro e Giovanni, le sopracciglia aggrottate per il riverbero del sole. 

Quest’ultimo ha le mani giunte come in preghiera e di lui colpiscono soprattutto le labbra dischiuse, perse in un sussurro, in una implorazione ripetuta a se stesso e a Dio. Pietro è leggermente in ritardo rispetto al passo più celere del discepolo amato da Gesù, proprio come leggiamo nel Vangelo. Dalla diversa espressione del viso e dalla posizione delle mani traspare il differente temperamento. Una mano regge il mantello, l’altra sembra indicare la direzione della loro corsa. Negli occhi e nella bocca leggiamo non tanto implorazione quanto incredulità, preoccupazione. D’altronde proprio questi sentimenti accompagnarono la resurrezione di Cristo prima che si manifestasse la gioia. Nel vangelo stesso leggiamo la reazione di Maria di Magdala (“Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!”) e la constatazione che “infatti non avevano ancora compreso la scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. Ma la gioia si sarebbe manifestata di lì a poco, espressione della vittoria sulla morte. Anche perché, per citare Paul Claudel, se Cristo è risorto “tutto il dolore che c'è nel mondo non è dolore di agonia ma dolore di parto”.